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Claims comparativi. Tra norme, controlli e prassi industriali

Più ampio e possibilista l'orientamento dell'Agcm.

Autori: Corrado Finardi
Fonte: rivista 'Alimenti&Bevande' n. 3/2018
Data: 16/04/2018


Si sa: i controlli in capo alle autorità nazionali, la legge in capo a quelle europee. E, come in ambito fiscale, la mancanza di una vera armonizzazione sta creando più di un grattacapo alle imprese.
Ma cosa succede se, oltre al gap tra norma e applicazione della norma, vi sono degli aspetti, se non contrastanti, certamente non armonizzati tra normative che si accavallano?
Un esempio classico deriva da una serie di casi recentemente al centro del dibattito, anche per l'interessamento di alcune testate giornalistiche specializzate, relativo all'uso da parte di aziende agroalimentari di claims come: "meno 30% di grassi ", "meno 55% di grassi saturi" e simili (con asterisco, laddove poi si legge "rispetto alla ricetta precedente" o simili).
Secondo la versione data, tali messaggi comparativi sarebbero erronei in quanto riferiti, quale termine di confronto, alla ricetta precedente e non alla media dei prodotti più venduti per la categoria di riferimento.
Questa sarebbe la colpa. È in ogni caso centrale comprendere meglio come stanno le cose, dal momento che la comparazione effettuata dalle imprese è stata del tutto trasparente e chiara, identificando immediatamente i riferimenti del confronto e ponendoli innanzi agli occhi del consumatore.
La stratificazione normativa - regolamento Claims (regolamento (CE) 1924/2006), normativa "Food Information to Consumers" (regolamento (UE) 1169/2011) e direttiva europea sulla pubblicità comparativa (direttiva 2005/29/CE) - non ha in questi anni sempre aiutato a far capire alle aziende agroalimentari come debbano comportarsi. E in questo buco le autorità di controllo si muovono con necessari margini di discrezione, amplificando - tramite orientamenti pragmatici - i gap normativi.



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