Il fenomeno della "crisi di immagine" di un'azienda alimentare è fenomeno antico, connaturato com'è ad un tipo di azienda che, per la natura stessa dei sui prodotti, vive appunto di "immagine" o, per dirla in termini tradizionali, di "fiducia" da parte della sua clientela.
Nessuno si rivolge, almeno coscientemente e salvo che non abbia alcuna possibilità di scelta, al consumo di alimenti provenienti da un'azienda di cui non abbia "fiducia" o, peggio ancora, della cui disonestà od incapacità abbia il sospetto o la certezza.
Lo potrebbe fare al limite per l'acquisto di una cravatta o di una cintura ovvero per acquisti in cui è in gioco solo un valore economico, ma cercherà assolutamente di evitarlo quando invece la merce è una sostanza alimentare: un prodotto che inciderà sicuramente, in positivo od in negativo, sulla sua salute.
Questa naturale, fisiologica condizione dell'azienda alimentare espone la stessa anche ad una condizione di particolare vulnerabilità in quanto quella fiducia, costruita negli anni e persino, talora, attraverso più generazioni, può sfumare o quantomeno compromettersi gravemente nello spazio di un solo episodio disgraziato di crisi da allerta "igienico-sanitaria" (ma non solo) per vicende in cui, però, non sempre vi è una responsabilità dell'azienda, ma piuttosto - come vedremo - una colpa di terzi e persino, in certi casi, di terzi criminali.
Difendere l'"immagine", ovvero quel patrimonio di fiducia della clientela di un'azienda alimentare, non è dunque impresa agevole.
Il primo di cinque articoli per ridurre al minimo i danni di una crisi da allerta e ripartire nel proprio percorso imprenditoriale.
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