Alcune recenti sentenze della Corte di Giustizia
dell’Unione europea (Cgue) ridimensionano fortemente
il valore guida di determinati documenti
ufficiali, ma di rango non normativo, della Commissione
europea. Al centro, il “bene giuridico”
da tutelare.
Nella causa C-113/15, ad esempio, la Cgue, non
solo ha disatteso lo spirito, ma ha dichiarato nulla
un’interpretazione precedentemente fornita
dall’Esecutivo comunitario sulle informazioni alimentari
da dare ai consumatori.
L’aspetto del tutto innovativo è che – se già
si era a conoscenza del valore non legale e,
per così dire, indicativo delle linee guida fornite
dalla Commissione (anche nella forma di
“Domande e Risposte” al regolamento (UE)
1169/2011) – non ci si aspettava un vero e
proprio ribaltamento di quanto già scritto
dall’Esecutivo comunitario, nel nome di una
più elevata tutela da dare ai consumatori,
con un maggiore volume di informazioni disponibili.
In questi anni, a dire il vero, le linee guida della
Commissione europea hanno fornito agli
operatori sul campo una fonte interpretativa
primaria – data anche la complessa genesi del
reg. (UE) 1169/2011 – e hanno finito per assumere
un valore paragiuridico molto utile ad
orientare controllori e operatori.
La sentenza della Corte di Giustizia chiarisce
in modo inequivocabile che le informazioni da
fornire ai consumatori, anche tramite collettività,
non possono essere semplificate, nemmeno
nel caso di piccole confezioni monodose
(come, per esempio, nel caso di specie,
miele in astucci da 20 g).
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